Discorso istorico sopra di Genova

BUG, Manoscritti, C.VIII.20

Miscellanea Ms di cose genovesi

Discorso istorico sopra di Genova

[nota archivistica: “Fogli N. 13”]

 

[c1r] Deplorerà sempre con lagrime di sangue ogni vero Cittadino Genovese amante della sua Patria la bassezza nella quale vede caduta la sua Città dà un eminenza tant’alta, com’era quella, nella quale dalla virtù de suoi maggiori era stata posta, perché considerando, che quella à tempo, che non stendeva le sue falde più oltre di quanto si contiene dà S. Pietro de Banchi à S. Matteo indi a S. Ambrogio, e quindi al mare, signoreggiava la Sardegna, e l’Isole di Minorica, possedeva molte piazze nella Spagna, et nell’Africa, aquistò, e sprezzò il Regno di Cipro ritenendosi solo la Città di Famagosta. Dominando tant’altri stati, come si sà, sin nel mar negro, cacciava fuori, armate tanto poderose che è quasi incredibile, perché per l’espugnazione d’Almeria in Spagna armo [sic] LX galere con CLXIIJ Navigli, un’altra volta dalla metà di Luglio sino à mezzo agosto armò CC galere imbarcandovi sopra quarantacinque milla huomini, ottomilla de quali erano con sopravesti di seta, e d’oro, e resto il stato così munito, che averebbe potuto armare altri XXXX legni da’ hora di terza sino à hora di vespro armo LVIIIJ galere avendone prima posto LXXII, che furono CXXX. Un altra volta in trè giorni n’armò LXX; ne occorre dire, che le galere di quelli tempi fossero molto più piccole delle moderne poiché concesso, che fussero qualche poco manco grandi, non vi può però essere gran differenza, il che si argomenta dalla gente che vi si imbarcava sopra, che era di tanto numero, che per poterle reggere, potevano esser poco più piccole delle nuove, come si vede chiaro, perché nella rotta che del 1296 diede Lamba Doria à Veneziani con LXXXV galere che le prese fece più di settemilla prigioni, senza i morti [1v] e Pagano Doria avendo rotta l’armata della Lega dell’Imperator Greco, de’ Veneziani, e Catalani in XXX galere Venete, e XVIIJ Catalane, che prese, amazzò più di Seimilla persone, senza i prigioni, et un’altra volta il medesimo Pagano in XXXVI galere Veneziane, che con XXXV delle nostre prese, fece più di cinquemilla prigioni con il lor Generale, e stendardo di San Marco; dal che si vede chiaro, che non poteva esser gran differenza di grandezza da quelle galere alle nostre, e non erano come altri pensano galeotte, fuste, o brigantini ne Fregatte ò filuche. Con che si vede, che la forza de Genovesi in quei tempi erano grandissime [sic], e gl’huomini di gran valore, che però furono potissima causa dell’acquisto di Terra Santa, dal che frà gli altri honori, et utili ne riportorono che à lor gloria fusse posta quella memoria, che ancor oggi si vede nella Capella del Santissimo Sepoboro -Prepotens Genuensium Presidium- oltre tante altre imprese maravigliose, che fecero, con le quali pareva che emulassero la gloria de gl’antichi Romani, paregiando i loro fatti, come si vede mirabilmente sotto Ventimiglia, la quale assediando per essersi ribellata, in pochissimi giorni per più stringerla le stamporono per così dire à canto un altra Città, e derivando con fosso largo più di due miglia il fiume per danno degl’assediati, e beneficio degli assedianti. Ma sarebbe un pensare di ristringere l’immensità dell’Oceano in piccol vaso chi volesse raccontare l’infinità dell’imprese, che han fatto i nostri antenati, vi vorebbero gl’anni, et essendo notissimo à tutti si verrebbe à tedio à tutti [2r] ogn’uno, però havendo solo ramemorato il sopra detto per essempio, non dico altro solo, che i nostri Padri per l’immenso valore, e potere, che dimostravano erano mirabilmente stimati, e temuti etiamdio dalle prime Potenze, che pero procuravano di star bene con loro, et chi faceva il contrario ne sentiva il castigo.

E’ cosa certa, che non haverebbero mai potuto essere abbattuti da Potenza alcuna se dà loro medesimi le guerre civili, con le fattioni, e discordie non si fussero prostrati con tutto ciò sebene con questi disordini si ridussero à pessimi termini conservorono sempre maggior riputatione, valore, e splendore di quello hanno al presente, cosa veramente lacrimabile che dove prima con una Città così angusta avevano imperio tanto amplo, et erano in tanta stima, e riputatione, che bilanciavano tutte le potenze del Mondo, adesso con una Città così magnifica, e così illustre siamo ristretti in quattro palmi di terra, e siamo sprezzati, e strappazzati da tutti. In quei tempi non ci era fatta così picciola ingiuria, che non se ne facessero gloriosi risentimenti, che però solo per essere stato maltrattato un nostro giovine nella Città d’Acchem in Levante si diede principio, e si continuò una guerra così aspra con Venetiani, come si sà adesso ognuno ci tratta come le pare, e bisogna piegar le spalle, e pregare, che ce ne dian poche; Lasciamo, che il Pontefice qual in quei tempi ci stimava tanto, adesso ci nieghi quelli honori, che dà non solo à nostri pari ma anco à nostri inferiori. Che l’Imperatore ci tratti come li pare, che i Spagnuoli ci faccino mille strapazzi con pretendere predominio sopra di noi con trattenersi i nostri denari, con negarci anch’essi quelli honori, che danno à nostri inferiori, non che à nostri pari con mille altri maltrattamenti. Lasciamo, che li Francesi parimenti ci facciano alla peggio, [2v] con tener, come carcerati i nostri Ambasciatori, con fomentar i nostri ribelli, pigliarci quanto puonno, et tentar la nostra distrutione con tanti torti, che ci fanno, che tutto questo è  un niente, perché vediamo che ogni Principetto pretende maggioranza da noi, non teme di farci ogni insulto, e ci strapazza à segno, che sin quattro scrocchi di Cavaglieri di Malta ardiscono di volerci levare quelle preminenze, che ci hanno aquistate, e conservate i nostri maggiori, e però siamo sforzati sopportar tutto, e bisogna aver pazienza.

Da che vien questo? perché siamo ridotti à questi termini? dov’è quel valor antico? quella generosità, quel splendore? Non saprei dir altro se non quello, che disse una volta il gran Basilio parlando degli Ebrei. Quadraginta dierum laborem et perseverantiam, una populi ebrietas cassam, irritamque reddidit, tante fatiche, tanti travagli tanti trionfi, e tante glorie aquistate, in tanto tempo da nostri maggiori da una sola imbriachezza delle nostre passioni, dalle nostre ambizioni, dalle nostre superbie con le quali si sono introdotte tante fazzioni, tante guerre civili, tante parti, tante sedizioni, tanti lussi, tante vanità, tante profusioni, tante delicie, sono state annullate, e distrutte, e noi siamo ridotti à tanta bassezza come si vede.

E’ vero, che per la grazia di Dio per il Santo, et ottimo governo dà mill’anni in qua introdotto, qual sua Divina Maestà si degni conservare perpetuamente, non pur son cessate le guerre civili, estinte le fazioni, e distrutte le seditioni ma quasi si sono tolte le radici di esse in maniera che se Dio per castigo de nostri peccati non permettesse qualche novo disordine, sarebbe quasi impossibile, [3r] che potessero di nuovo suscitare; ma non per questo siamo migliorati di condizione quanto alla gloria, e splendore, anzi siamo deteriorati, et ogni giorno andiamo peggiorando, che però viene à quadrar anzi quello che disse Marcello appresso à Livio, Capuam Annibali Cannas fuisse cioè che come furono più dannose le delicie di Capua à Cartaginesi di quel, che fusse stata la rotta di Canne à Romani, così à noi è stato maggior danno l’ozio, la quiete e le delicie di qualsivoglia guerra che abbiamo avuta tanto civile, quanto esterna, che dove che con le guerre si mantenevamo valorosi, forti, e virtuosi, con l’ozio, con la quiete, e delicatezza siamo divenuti così deboli, così fiacchi et effeminati che non sappiamo, ò possiamo maneggiar l’armi, ma si spaventiamo del strepito d’un tamburo, e di udire il suono d’una tromba, che però quando è venuto il caso, che abbiamo avuto la guerra alle <…> non solo si siamo ritrovati sprovisti d’ogni diffesa, ma si commessero tante pusilanimità, e bassezze, che in Roma, e altrove quando vedevano alcuno de’ nostri le battevano le mani dietro facendole scio, scio come si suol fare alle galline in modo che ben si potrebbe carpire uno de nostri antichi Eroi, con le medesime parole che appresso l’istesso Livio disse Annibale carpendo i suoi soldati Arma signaque eadem cognosco, quae ad Trebiam Transimenumque postremo ad Cannas vidi militem profecto alium in Lyterna [?] Capuam duxi aliunde inde eduxi, perché in effetto abbiamo sì il medesimo nome di quei liguri, che cozzorno tanto tempo con la gran potenza de Romani, si vedono quelle insegne, che s’inalberorno sopra tante terre de nemici, che furno vedute le prime sopra le mura di [3v] Cesarea in Palestina, con le quali si sconfissero tanti Eserciti, si fracassarono tante armate, e s’ottennero gloriose vittorie, che ne son pieni i libri, ma gl’uomini non son li medesimi, perché quelli erano valorosi, forti, e generosi, e non pensavano ad altro, che alla gloria, et all’agrandire il nome, et imperio de Genovesi, et essendosi dati totalmente all’armi, et alla navigazione, tolleravano ogni disagio non ricusavano le fatiche sprezzavano i pericoli, erano parchi nel vivere, modesti nel vestire, e diligenti nell’operare e finalmente erano arditi, e pronti ad ogni impresa. Adesso per il contrario si vede tutto l’opposto; si vedono sì ancora l’insegne, e stendardi co’ quali s’acquistò tanto splendore, e gloria, ma riposte ne sacchi non v’è più altra gloria, che d’accumular denari per fas, et nefas, le lancie, e le spade sono diventate pistole, e stiletti per svenarsi l’un l’altro, ò per manco male penne, e calamari per scrivere lettere di cambio, ò d’altri negozij bassi, le radunanze, che si facevano, ove si trattava d’aquisti di Stati, di gloria e di imprese generose son diventate biscaccie, bettole, et magazeni di giuochi, di crapole, e di mille altri vizij, s’è dato in un ozio vituperoso, i nostri trattati non son più d’altro, che di amori, di lascivie, ò di amazzare questo, et di assassinare quest’, ò quell’altro; non però con aperta questione, e da galatuomo [sic], ma a tradimento per mezzo di un assassino ò con fatture, veleni, e simili altre sciaguratezze. Queste sono le bravure de tempi moderni, le nostre glorie sono d’avere belli Palazzi, grand’argentarie in casa, ricchi vestiti, e superbi apparati, queste sono le nostre imprese le nostre glorie, i nostri trionfi. All’hora si fabricavano [4r] armate poderose, con le quali si scorreva dal Levante al Ponente per le Sorie, per le Greccie per l’Afriche per le Fiandre per l’Inghilterre adesso si fabricano sontuosi Palzzi, bellissimi giardini, belle letiche, e belle carozze, con bellissime filuche, e bucentori, con quali si scorre sino à Sanpierdarena sin ad Albaro, à Sestri, à Cornigliano à dameggiare, e deliciare: in questo è posto ogni nostro pensiero, dal che ne segue che dove prima dominavano per così dire il Mondo, adesso si ristringiamo in quattro palmi di terreno, dal quale non sapiamo uscire se non con cariaggi d’argenterie, di tappezzarie, e d’ogni altra delizia. Ne tempi antichi s’armavano le galere, et le Navi in gran numero e si carricava di biscotti, d’acqua, e di munizioni, d’instrumenti bellici, e di soldati, e marinari valorosi; adesso armiamo quattro galere quali, ò si marciscono nella Darsina, ò viaggiano dal Molo à Sanpierdarena, ad Albaro, alla tonnera [?] à portarci quattro soldati, ò simili imprese, e se pur han da far viaggio di qualche giorno per portar un Ambasciatore ò qualche personaggio si carricano di polleria, di neve, di servitù inutile, e d’ogni delicie, con ordine però, che se s’incontrano in qualche Turchi se non si vedono vantaggi almeno del doppio, che battino la ritirata, e con ragione, perché sono tanto imbarazzate, e siamo diventati tanto pusilanimi, e timidi della pelle, et inesperti del combattere, che correrrebbero gran risico d’esser prede de nemici, massime, massime che i Turchi non portano neve, vini, ne imbarazzi ma solo munizioni, e buona gente dà menare le mani.

In quei tempi, che la nostra Città risplendeva tanto et il nome Genovese era così stimato, e temuto per [4v] tutto il mondo il vitto e vestito era molto moderato e parco contentandosi etiamdio le case migliori d’un poco di carne una, ò due volte la settimana, e si vestiva un vestito molto positivo; onde non restava tanto da trattenersi alle tarme, et ai sorci nelle casse de vestimenti inutili, perché non ci erano tante usanze, e non si mutava ogni giorno una foggia di vestire, e si contentavano di un servitore, e d’una serva per casa ricca, che fusse, che però vi erano tanti soldati, e marinari, adesso non si sà mangiare, che non vi sia il cappone, il gallo d’India, la pernice, il fagiano il pasticcio, la torta dolce, e cose simili, a segno, che dove prima non si vedevano pollami, se non in Lombardia, e nel Piemonte adesso son meglio fornite le nostre Piazze, che quelle di Lombardia, e non si finisce mai d’invenzioni d’esquisitezza de cibi, e si spende più per il vestito d’una persona, che non si faceva all’hora per vestire trè famiglie grosse, ogni giorno si trova una foggia di vestire, e quello era buono ieri non è più buono oggi ladove si riempiono i guardarobbe di pretiose vesti per pasto delle tarme, ò trattenimento de topi, che manco male sarebbe, che si dessero à poveri, e si tiene più servitù in una casa, che non si teneva all’hora in mezza la Città, che però, se occorre far soldati non si sà dove dar della testa perché tutti gustano del trattenimento, che hanno.

Hor, che ci giovano tante grandezze, tante richezze tante delicie, e tante delicatezze; che utile ci portano tanti Palazzi cosi ben forniti, e pieni di tant’oro, e tanto argento, tanti deliciosi giardini, tante lettiche, tante carozze, tante filuche, tanti vestimenti superbi, con tanta [5r] servitù inutile à mio parere poco ò nessun giovamento ci fanno ma bensi infiniti danni, e mali all’animo, et al corpo.

Primieramente ci avviliscono, et impoltroniscono in maniera, che non siamo buoni ad altro, che per andar à spasso, e piaceri et à diletti dove si ingolfiamo in una infinità di vizj, e perdiamo totalmente quei spiriti generosi di gloria, e splendore, con li quali li nostri maggiori si sono tanto illustrati.

Secondo ci alienano dal debito affetto al ben publico, perché per mantenersi con queste delicie nelle quali siamo, non abbiamo risguardo se non al proprio interesse, e non sappiamo trovar la strada di spendere un soldo à beneficio publico, che però se si hà da far una tassa per leggiera, che sia ci vogliono gl’argani, e per esigerla vi vogliono le tenaglie dove per il contrario i nostri antichi erano tanto ben affetti al publico, che per non gravarlo d’un soldo sopportavano volontieri ogni gravezza, e per tal effetto le Donne istesse si spogliavano de proprj ornamenti, come in particolare successe per l’espedizione d’Almeria.

Terzo privano la nostra Città de negozj, e traffichi, essendo tutto il denaro impiegato ne cambj per non travagliare ne negozj reali, dove il nostro Popolo vien distrutto per mancamento di trattenimento, e tutto il nostro avere si riduce in pezzi di carta.

Quarto da questo ne sieguono tanti fallimenti, che ormai non abbiamo credito d’un soldo appresso à forastieri, e frà noi medesimi, il padre non si fida al figlio, né il figlio al Padre, dove che prima avevano tal credito in qualsivoglia parte del Mondo, che basrava esser Genovese perché fusse [5v] fidata ogni somma.

Quinto ma per ultimo, lasciati infiniti altri danni, tutto il detto sarebbe niente, quando non vi fusse quello che stimo il peggio di tutto, che è, che queste nostre vane grandezze, e finte richezze ci eccitano contra un’invidia grandissima appresso tutte gl’altre [sic] Nazioni, quali vedendo tante nostre commodità, e grandezze fremono in maniera d’invidia, che’ pare, che tutte conspirino alla nostra depressione, e distrazzione, e questa loro rabbia vien accresciuta da noi medesimi, che insuperbiti da queste nostre grandezze par che non si stimiamo alcuno, e non facciamo conto d’alcuno, et ogniun ci par niente rispetto à noi, si burliamo d’ogniuno, e se vengono alla nostra Città non ne facciamo stima veruna, le facciamo il conto adosso, e pur si dovrebbe far il contrario, poiché dà questo ne nasce un odio estremo, per il quale restiamo odiosi à tutto il mondo.

Hor quantonque le sudette cose siano pur troppo vere dobbiamo però ringraziar Dio, che sebbene le infermita son gravi, e molto pericolose non sono però incurabili sebene le forze son deboli, non sono estinte, e la nostra constituzione è ottima, non sono infermita ereditarie ma solo accidentali, benché pur troppo radicate, che però se si porrà alla costra cura un buono, et intendente medico con un poco di purga, con cavarsi un poco di sangue, e con una buona dieta si risanaremo, perché il nostro è male non francese, ma spagnuolo, e non è che non vi sia la virtù, e forza, che vi è, ma oppressa dà mali umori, da sangue corrotto, quali se si evacueranno, [6r] una volta subito tal virtù risorgerà più valorosa che mai.

Il medico, che ci potrebbe curare à mio parere sarebbe un Magistrato molto eminente de Cittadini i più autorevoli e piu zelanti, che siano nella Città, frà quali non sarebbe forsi male, che fusse alcun popolare per la pratica delle persone di sua condizione, che pur hà di bisogno di cura quali con titolo di censori ò simile procurassero di purgarci dà cosi mali humori come sono tanti lussi, tante vanità tante profusioni fuori di proposito, tante biscaccie de giuochi, tanti oziosi, e sfacendati, come si vedono, ordinassero una buona dieta, con proibire tante spese inutili non meno, che le correzioni private, che con le leggi, e gride e cavassero qualche poco di sangue per mezzo del Cerusico dle ben publico in appresso procurassero di ristorarci con il ristoro della disciplina militare, e dell’arte nautica, con introdurre academie ove si trattasse di buon governo d’armi, e vascelli, di commandare, et ubbidire, e cose simili, inoltre procurasse per tutte le vie possibili di rimettere i negozij reali dalla pittuita [?] de cambj non mai estinti, e quando incontrasse humori contumaci potesse adoperare, e ferro, e fuoco sanguisughe, ventose, et ogn’altro più opportuno rimedio che dalla sua prudenza le fosse suggerito. E sebene io non son medico proporzionato à tali infirmità, non mancherò di ricordare una ricetta d’una medicina per mio avviso molto proporzionata al nostro male quale averà molto del purgativo ristorativo insieme che se non m’inganno farà questi effetti, ritornerà [6v] la nostra Patria in quel lustro, e splendore, e stima antica appresso tutto il mondo, farà che sia stimata, et amata più che mai, e senza meno ci saran per cosi dire tratti per la testa quelli honori, che di presente ci vengono negati, e depositerei la vita, che mi fusse tolta subito, quando in quattro, ò cinque anni li Spagnuoli non solo ci dessero il coprirsi avanti il Rè, ma anco tutti li nostri denari, rendite, e capitali, e gl’altre [sic] Potenze si guarderebbero molto da darci disgusto come che non ci mancherebbe il modo di risentirsi, si ristorerebbe l’arte militare, e l’arte nautica si ravviverebbe la negotiazione, si darebbe trattenimento alll’impiccio à gran numero di Cittadini, e si purgherebbe la Città da mille furbi, e mille mali con infiniti altri beneficij, che saran chiari a chi considererà il fatto. E’ vero, che bisognerebbe, che questa ricetta fosse ben considerata, e non fosse così subito spedita per una chimera, perché in effetto non è tale ne parera [sic] tale à chi bene la considererà. Non posso però cosi bene incertare tutti gl’ingredienti necessarij, che bisognerebbe ch’io avessi pratica di molte cose, ch’io non hò, però contentandomi di dar il mottivo mi rimetto ad’un eccellente Collegio de Medici più proporzionati da farsi sopra di ciò, e dirò solo quello à che mi spinge l’affetto grandissimo, che porto alla mia cara Patria.

Questa mia ricetta per venir all’immediata non cosiste [sic] in altro che in armare Cento, ò più Navi poderose et habili à servire non meno in guerra, che in pace, con una partita di polacche, e barche si per li [7r] negozij più legieri si anco per spedir le commissioni et ordini,  e supponendo che il Publico armi venti, ò venticinque galere come si va divisando, vorrei, che dal modo, che dirò in appresso se si armasse parimente di più quel maggior numero, che si potesse per spalleggiare bisognando le dette Navi, e per quelli effetti, che si stimeranno à proposito.

Per fare simile armata è da considerare, che due modi d’armare usorno i nostri antichi, uno con soldo publico, come al presente si fà, l’altro era de particolari quali uniti insieme armavano quelli vascelli, che le pareva, e tutti stavano alla rata della perdita, e del guadagno. Hor lasciato il primo modo vorrei, che si appigliassimo al secondo nella maniera seguente.

Noi abbiamo per cosi dire nella nostra Città due Prencipi, uno è il Palazzo, e l’altro la Casa di S. Giorgio. Or io vorrei aggiongervi il terzo, perché funiculus triplex difficile rumpitur qual fusse un’altra casa sotto il titolo della nostra Regina, e fusse suo confaloniere San Nicolo da Tolentino, come avvocato particolare de marinari: questa casa vorrei fusse alla forma di quella di San Giorgio, e come quella è fondata sopra le compre delle cabelle, et redditi publici, et è governata solamente dagl’interessati in essa, così vorrei, che questa fusse fondata sopra la navigazione, e maneggio di questi vascelli, et fusse governata parimente dagl’interessati, et partecipi con li medesimi privileggi di San Giorgio et altri proporzionati, e suoi proprij; Et per formar [7v] questa Casa vorrei che si facesse un calcolo del costo che importerebbero i detti Vascelli, et altre cose necessarie per porli all’ordine; Fatto questo calcolo che se ne formassero tanti luoghi ragionandoli cento scuti l’uno, ò cosa simile, e chi volesse partecipare in questo negozio comprasse quanti di questi luochi le paresse.

Doverà comprarne una buona somma il Palazzo non tanto per l’utile del denaro, che dà simil negozio potesse venire, quanto per gl’infiniti commodi, che gli ne risulterebbero quando non fusse mai altro, che la riputazione.

Doverà parimente comprarne gran numero la Casa di San Giorgio per aiutare à tirar avanti tal negozio, come che gli ne debba risultare grandissimo utile per l’introito delle cabelle per li gran traffichi, che s’introduranno, et perché averà miglior condizione de noli del sale.

Similmente ne doverà comprare buona somma l’ufficio dell’abbondanza, come che per mezzo di queste Navi debba haver grande commodità di provedersi di grani con avantaggio il simile del Ufficio dell’olio, e del vino. Seguiranno in appresso i particolari à quali tornerà molto bene impiegarle il suo denaro, massime che lo tiene ozioso essendo che per questa via le doverà dare molto utile, e con meno risico; che se uno comprasse una Nave da per se. Et stimo, che si troverà prontezza perché vi son molti, che se avessero il potere com[8r]prerebbero delle Navi da per se, e non si assicurano porsi in compagnia con altri, perché non si fidano et in queste sarebbero sicuri dalle fraudi massime potendo entrar ancor loro al governo, e può esser, che uno con poca somma aquisti trattenimento tale dà inrichirsi ò almeno mantenersi bene.

Stimerei però prudente consiglio deputare alquanti Cittadini di tutti gli ordini i più qualificati e meglio affetti che ne facessero le prattiche, et con accreditare questo negozio procurassero d’indurre le persone facoltose d’ogni condizione tanto della Città quanto del Stato ad impiegare parte del suo denaro in tal negozio. Sebene sperarei che stante la scarsità d’impiego cauto abbonderebbero largamente i denari subito che fusse publicata tal pratica tanto più, che non mancheranno persone che per il buon affetto al publico, et per la speranza che si debba ritornare nella grandezza antica concorreriano con ogni loro potere, perché vivono in molti li spiriti antichi.

E quando pur nel principio si scarsegiasse sarebbe luoco di dar l’ascrittione à chi armasse una Nave ò una galera ne sarebbe inconveniente alcuno, perché ad ogni modo crescerà tanto l’impiego de nobili, che non ve ne saran tanti che bastino, se alcuno nobile facesse il simile, ò concorresse con tal somma se le potrebbe concedere altro privileggio, ò grazia equivalente.

E caderebbe à proposito introdurre un ordine di Cavalieri, come è stato riccordato con le sue leggi, e Statuti proporzionati ammettendovi chi fusse di nascita nobile benché non ascritte al Governo di Genova etiamdio che fusse d’altri Stati, [8v] purché impiegassero tanta somma in tal negozio, intorno a che sarebbe molto che discorrere, ma perché stimo, che senza tali artificij si possi tirar avanti l’impresa non ne dico altro, massime che quando si venisse in tal risoluzione sarebbe necessario far una deputazione di persone molto intendenti, e prattiche, quali formassero i suoi ordini, ò leggi à ciò proporzionate.

Questa casa come s’è detto insieme con l’armata doverà essere assolutamente governata da partecipi et interessati concorrendovi prima uno ò due Illustrissimi per il Palazzo, uno ò due per San Giorgio, il simile per l’abbondanza; e poi tutti quelli che averan tanto numero de luochi doveran esser ammessi indiferentemente al governo, e si dovrà tener modo, che de populari massime più riguardevoli sia tenuto conto con dar ad essi ancora qualche impiego non meno nel governo della casa, che delle armate, nel che non stimerei se non lodevole alargar mano più che fusse possibile, si perché vi sono de buoni soggetti, et intendenti di negozio, che importa molto si anco per affezionarli maggiormente alla nobiltà, e al publico.

Tutti li carichi si della Casa come dell’Armata non si diano per più, che per un anno; ma si possino confermare si come richiederà l’utile della Casa, ed il buon servizio di chi l’eserciterà.

Il comando de Vascelli, tanto galere, come Navi, ò altri si doverà dare indifferentemente avendosi sempre risguardo a chi ci hà più interesse, et a chi è più prattico di marinaria, e mancando sogetti idonei de tanti prattici che soprabbonderebbero massime se sopra le galere, e navi si metteran sempre almeno due giovani tanto nobili, quanto populari [9r] perché si faccino prattichi dell’arte del navicare [sic].

Le leggi, et ordini non meno di questa Casa, che dell’armate doveran esser fatte con maturo consiglio dalla medesima Casa ricordando il Palazzo, e la Casa di San Giorgio quello stimerà à proposito, sopra tutto si doverà invigillare di far ordini, e leggi che taglino per quanto sia possibile le strade alle discordie, e disunioni, et in particolare sara legge inviolabile, che detta Casa resti sempre dipendente dal Palazzo, et ogn’uno, che sarà ammesso al governo si della Casa, come dell’Armate, e Vascelli nel pigliare il giuramento frà l’altre cose doverà giurar fedeltà, et obedienza alla Republica Serenissima e rimanendo tutte gl’altre [sic] deliberazioni nel poter della Casa non sarà lecito consentire le dette armate in qualsivoglia modo à Principe alcuno estraneo senza il beneplacito del Palazzo, quando però s’avesse à concedere qualche galera, ò altro Vascello à qualche personaggio potrà farlo la Casa col debito utile.

Posto in pratica questo negozio ogn’anno quel mese, che si stimerà più à proposito come si fà in San Giorgio calculerà l’introito, e le spese, e si farà il ripartimento cavandosi fuori prima una parte, come sarebbe un quarto ò cosa simile per il mantenimento dell’armate in caso di qualche naufragio, e per rinovar de Vascelli quando bisognasse senz’altra contribuzione, e questa parte si doverà sempre conservare à quest’effetto moltiplicandosi sempre nel miglior modo, che si potrà affin che mai possa mancare questa Casa, e negozio, il sopra più dell’utile si ripartirà tanto per luoco, et [9v] ognuno potrà disporre del fatto suo à suo piacere e chi vi avera [sic] luochi potrà venderli nell’istessa maniera che si fà in San Giorgio, trovando compratori.

Quanto beni siano per seguire da tal armamento non dà l’animo à me di esplicarli, benché assai chiari si vedano vi vorrebbe altro soggetto di me, non mancherò però di replicare, che prima si ripigliarebbe il dominio del mare, e la nostra Repubblica verrebbe ad essere grandemente stimata da qualsivoglia Potenza, la nostra città sarebbe sicura di non poter mai esser assediata per mare, e quando fusse travagliata per terra con sbarcare tutta la gente di mare averebbe un grosso Esercito pronto, che però le basterebbe mantenere tanta soldatesca, che l’assicurasse da una sorpresa, e dalla sedizione, e tumulti populari.

Li Spagnuoli, come hò detto di sopra per il commodo, et incommodo, che potrebbero aver da noi si risolverebbero star bene con noi, e ci darebbero il fatto nostro, e gli onori che ci son dovuti. La Corte Romana ci stimerebbe molto, e non sarebbe dura à darci quegli onori, che ragionevolmente pretendiamo, li Francesi ci temerebbero, come il fuoco e gli altri Prencipi ci stimerebbero grandemente. Si rimetterebbe, come si è detto il negozio reale, si darebbe impiego ad un infinità di persone, si purgherebbe la Città d’infiniti oziosi, e sfacendati.

Sò che non si potrebbe così di subito stampare un’armata di qualità tale, perché vi si ricercano molte cose, che hanno bisogno di tempo, ma neanche la Casa di San Giorgio nel suo principio fù della [10r] stima, e reputazione, che è stata con processo di tempo, et al presente cominciò anch’essa da poco, et s’è ampliata molto, il simile si potrebbe far adesso cominciar à poco a poco, et andar ampliando il negozio, conforme al credito, e riputazione, che pigliasse, che al certo non passerebbero molti anni che si farebbe più di quello s’è detto, e basterebbe, che si vedesse una volta incaminato il negozio, e che si cominciassero à far qualche facende, che concorrerebbero tanti, che vorrebbero esser partecipi che non vi sarebbe luoco per tutti. Si veda, che molti Cittadini tengono i loro denari nelle cosse inutili, e morti, e si van consumando à poco à poco per non saper dove impiegarli, che subito al sentir solo questa pratica voleranno ad esibire somme di rilievo, e tengo fermo che nel bel principio, che si tratterà tal prattica, si metterà insieme somma sufficiente per fare la detta armata perché con 30 in 40m luoghi che si mettino insieme di cento scudi l’uno saranno abastanza, e quanto si starà à metterli insieme, tanto appunto, quanto si starà à pensarvi, et à risolversi.

Svegliamoci donque una volta dal pernicioso letargo, che hà tant’anni oppressa la nostra virtù in modo, che si risentino quei generosi spiriti de nostri maggiori, e non si sgomentiamo ponto di cosa alcuna. Venghino poi li Spagnuoli à far Porto al Finale, ò dove vogliono, potran si far de Porti, ma non potran mai contrastare con la nostra virtù, con li nostri spiriti, con li nostri ingegni, faccino quello, [10v] che vogliono, che sempre averan bisogno di noi, massime se si armano queste galere, e Navi, che per necessità resteran disarmate le loro, perché tutta la marinaresca volerà à servir la sua Patria potendo avere trattenimento ragionevole.

Confesso, che il desiderio, e l’affetto, che porto alla Patria mi trasporta, e forse mi fà vedere una cosa per un’altra, ma già mi par vedere per tutto il Levante Case di Genovesi con grandissimi traffichi e la nostra Città piena di abitatori sino al Castellaccio, già vedo la diversità di Nazioni fermar quà il piede per negozio, le stravaganze di vestiti, di lingue, di merci, di traffichi già mi par che si tratti di assignar luoco a mercadanti Levantini, Ebrei, e Turchi istessi, che vengono per negoziare con le medesime nostre Navi che non sarebbe inconveniente alcuno à questi ancora concedere salvocondotto di poter abitare per quel tempo che negotiassero poiché si concede a Inglesi, e Ollandesi, che son gente di Religion più contagiosa di queste, in somma già mi par vedere un infinità di Greci, Armeni, Arabi, et simili altri mercadanti che conducono infinità di merci, et carichino qua le Navi intiere delle nostre merci con infinito guadagno della Casa di San Giorgio, e di tutta la Città non sarà forsi vero questo? e perché? non si vede questo in Venezia, hor che maggior commodità possono avere in Venezia di quello possino havere qua? Si vede pur chiaro, che queste Nazioni son quelle che arricchiscono quella Città; E perché non faremo il medesimo quà, van colà perché vanno el Armate Venete per il Levante, e conducono non meno le mercanzie, che i [11r] mercadanti, chi dubita che se le nostre armate anderanno per quelle parti non debbano fare il medesimo.

Non mancherò di raccordare, che queste Navi si manteniranno con minor spesa, che se fussero de particolari soli, perche la Casa sudetta doverà sempre avere tutte le provisioni necessarie si quanto all’armamento, si anco quanto alle vettovaglie, le quali comprate in tempo sempre costano manco che comprate per necessità. Inoltre invechiando tanto le Navi, come li attrezzi di tutto si potrà servire, perché quello non sarà buono per una Nave, sarà buono per una barca anzi che detti medesimi legnami, e ferramenti ò di parte di essi, che si caveranno da un Vascello vecchio si potrà servire per farne un altro, se non in tutto almeno in parte.

Inoltre arrivando una partita di Navi mentre si attenderà à scarricare, e caricare il suo carico, quella gente, che sarà venuta con quelle si potrà mandare con altre, che saran pronte alla partenza nelle quali cose doveran esser persone molto diligenti, che invigilino à tutto quello occorrerà con ottimi ordini.

Di più si doverà havere in tutte le parti, e piazze di negozio marittime persone idonee, che preparino li carichi, et avisino la casa, quando se le doverà mandar navi sicome quando di qua s’averà da spedir per qualche parte s’aviserà subito, che si sarà deliberata, ò si tratterà la deliberatione, acciò gl’agenti sappino quando doveran esser in tal parte le Navi per provedere per la spedizione di carrico, ò d’altro con quelli ordini, che saranno necessarij, et sopra ogni vascello oltre il Capitano doverà essere una persona molto [11v] confidente, ò più, che tenghi minutissimo conto di tutte le merci, noli &c.

Si doverà fare, che qualche galere scorrino sempre quei mari di dove escono i Corsali per pigliar lingua se n’esce alcuno contro quali si faran le debite speditioni, conforme alle forze, che si sentirà, che averanno.

E perché alcuno potrebbe opporre, che il denaro impiegato in questo negozio non fusse per rendere utile corrispondente à quello se ne cava per l’incertezza, per li rischj, de naufraggi, spese grandi &c.

Rispondo io, che è quasi impossibile quel che rende in ogn’altro negozio cauto, e lecito, et in ogni caso quando forsi massime nel principio non si sperasse, che dovesse rendere convenientemente perché alcuno non restasse privo dell’introito ordinario, loderei, che per impresa così degna si spropriassero di tanti argenti, ori, e gioie inutili, che tengono, e non le portano utile alcuno, che à questo modo quando il negozio non le portasse grand’utile non lo sentirebbero ponto, e tutto quello portasse sarebbe in avanzo.

Sperarei, che sopravanzasse larghezza per fare quest’armata, e maggiore senz’altre diligenze tutta volta per maggior ampliazione del negozio non mancherò di raccordare che come che à Genova siano tanti moltiplichi publici, e privati non sarebbe inconveniente mettere il denaro di detti moltiplichi con li debiti interventi in tutto, ò in parte in questa casa che per avventura rendendo più utile di quello, che cavano ordinariamente come spero sarebbe beneficio de moltiplichi, che però si terminerebbero più presto con utile degl’interessati. [12r]

Inoltre quando si dechiarasse, che questo negozio fusse tale, che vi si potessero impiegare denari Ecclesiastici, e de luochi pij non mancherebbero molti Religiosi, che v’impiegherebbero buone somme si ché [sic] si farebbe tutto quello che si volesse.

 

 

 

Risposta dell’istesso ad alcune opposizioni addotteli sopra li concetti, e pensieri di sopra esposti.

 

Io presupongo, che chi governa in una Republica cosi ben regolata com’è la nostra, sia come un vero Padre, che mai non pensa ad altro, che à trovar forma, come possa mantenere, et agrandire i suoi figliuoli, e considero che li Padri vedendo i lor figliuoli poco curarsi del proprio bene alli ammaestramenti, et essortazioni, aggiongono talora i rigori in modo che ò per amor, ò per forza faccino quel, che devono per lor bene. Hor vedendosi chiaro che la negoziazione, e navigazione sono quelli mezzi con li quali s’hà da mantenere la nostra Città libera, et illustre non sarà inconveniente alcuno, che i suoi Padri procurino con ogni maniera di ristorare, e promuovere, e l’una e l’altra etiam quando fia necessario con qualche moderata violenza la forma di tal ristoro non è altra, che l’introduttione di buon numero di Vascelli, si è dato il modello di poterli introdurre per mezzo d’una compagnia &c.

S’oppone il mancamento degl’impieghi di detti Vascelli, la spesa maggiore dell’usato sia in mantenerli, e la poca fedeltà de marinari de nostri tempi.

Al che si risponde, che per dar principio à cosa di tanto rilievo non è necessario armar tanti Vascelli ne così [12v] subito si possono armare, che si possa temere mancamento d’impiego, perché si doverà procurare, che tutti li nostri Mercadanti si servino di essi, con interporvi anco bisognando l’autorità publica, se le doverà però fare ogni agilità possibile, e procurar che restino serviti con ogni esquisitezza per inclinarli maggiormente à valersi de nostri naviglj, e quando anco nel principio non si guadagnasse tutto quello, che si potrebbe, si doverà aver pazienza fin che sia il negozio ben incaminato; ma quando il tutto manchi, e non vi sia altro impiego, doverà la medesima Compagnia aver modo di caricar le Navi per proprio conto, e mandarle, come sarebbe in Levante, in Fiandra, et in ogn’altro luoco, dove fusse mancamento di quello se le potrebbe mandare, e procurar che in quelle parti caricassero quelle merci, che mancano à noi, ò per trasportarle altrove, che à questo modo si ristorrerrebbe, e la navigazione, e la negociazione nell’istesso tempo. Quando poi il negozio sarà ben incaminato, si potrà anche crescendo il numero de Vascelli come porterà l’occasione, et il negozio aquisterà forse [sic] di giorno in giorno.

Circa la spesa che si dice farsi maggiore, che non si faceva già, e non fanno altre Nazioni, ò li vascelli si spediranno à parti, ò come si suol dire, à i salarij, se à parti si doveràn [sic] far le provisioni necessarie dà Deputati con ogni possibile avantaggio, ò di quelle cose solamente, che sono semplicemente necessarie per il vitto, escludendo tutte le superfluità, e delitie, e non rincrescerà [13r] à marinari il vivere ordinario di nave [?] mentre sapranno, che quanto manco si spenderà maggior parte d’utile le toccherà, essendo sicuri, che il tutto sarà amministrato fedelmente. Se poi si farà l’espedizione à salarij, il che seguirà facilmente, quando anco le Navi fossero nolleggiate à salarij, ò vero si spedissero per proprio conto della Compagnia in tal caso parimente si doverà far le provisioni necessarie delle cose solite per il vitto moderato, e non delicioso facendosi le debite pragmatiche, tanto nell’uno, quanto nell’altro modo, che non s’introdurrà se non vettovaglie marinaresche, come si usa communemente, dando bando à tutte le delicie, e quanto alla fedeltà ogni Capitano che sarà posto sopra di un vascello doverà dare sigortà di fedele, e reale amministrazione non meno del Vascello, che di qualsivoglia merci consignateli con ogni viaggio starà al sindicato, e ritrovandosi, che facci mancamento in qualonque parte del mondo, oltre il rifacimento d’ogni danno dato sarà severamente punito; Egli si dovrò pigliar sodisfazione delle persone, che averà sotto il suo commando, et averà autorità sopra di loro di punirle, e castigarle secondo stimerà espediente conformemente alle leggi, et instruzioni ch’averà. Inoltre si doveranno usare le diligenze, che usano particolarmente gl’Inglesi che hanno le lor navi cosi ben ordinate, che non si può muovere cosa alcuna di mercanzia senza la chiave si che non vi sarà pericolo alcuno di frode. [13v]

Par che con questo resti sodisfatto alle difficoltà proposte pertanto non fia se non bene deliberare d’introdur tal compagnia, massime, che da tal deliberazione non ne può seguir danno, ne inconveniente alcuno; ogniuno confessa, che questo sarebbe un gran beneficio commune, tutta la difficoltà consiste in metter insieme i partecipi, che voglino concorrere, et espor il denaro à tal impresa. Non si possono far tutte le cose in un tratto, si fà una cosa alla volta; Il contadino prepara la terra, semina il suo grano qual nasce, et egli lo purga dalle malerbe, cresce, e matura, lo toglie, lo batte, e lo ripone nel granaro; Hor così si facci la deliberazione d’introdur tal compagnia con dichiarazione de suoi privileggi; si facci deputazione di Signori, che la promuovino vi concorra il publico con qualche somma, il simile San Giorgio &c. Si faccino le prattiche con autorità publica, che assai presto il negozio, e principierà, et anderà crescendo di giorno in giorno.

Carlo Bitossi

Sono nato (1951) e ho studiato a Genova. Laureato in Filosofia (1976), ho lavorato sedici anni nell’Archivio di Stato di Genova. Dal 2000 ho insegnato nell’Università di Ferrara, come professore dapprima associato e poi ordinario di Storia moderna. Sono in pensione dall’ottobre 2021. Imitando i colleghi anglosassoni che forniscono nei profili anche informazioni private aggiungo che amo i gatti e sono un sostenitore irriducibile del Genoa CFC.